Scrive di sé
Carlo Cardazzo e Lucio Fontana, i miei primi riferimenti: in mezzo a loro Alexander Iolas.
Circa gli inizi della mia carriera, questa è la risposta a una studentessa di Brera, Claudia Antonella Pauciullo, che svolgeva una ricerca per la tesi di laurea sulla collezione Boschi Di Stefano e necessitava di notizie su un quadro, il N° 1448, che apparteneva alla collezione stessa:
“… La ringrazio per la grande emozione che mi ha suscitato il rivedere il mio dipinto giovanile, acquisito dai signori Boschi nel 1954. Ero arrivato a Milano da circa un anno ed ero approdato al mitico bar Giamaica di Via Brera. Ero forse il pittore più giovane allora e fui subito benvoluto dagli artisti già operanti nel luogo che contribuirono anche alla mia sopravvivenza, sia fisica che culturale. Ero sempre in compagnia di grandi artisti, come Carrà, Birolli, Fontana, Cassinari, Morlotti e mi sentivo un privilegiato, anche se era duro vivere solo, senza un aiuto della famiglia d’origine, dalla quale mi ero allontanato…
Molti altri giovani, con gli stessi interessi, erano nella mia condizione. Circolava un ampio e fruttuoso scambio di informazioni e progetti tra noi tutti.
Fu così che, nel novembre del 1953, venni a conoscenza di un premio di pittura che la Galleria del Naviglio – allora diretta da Carlo Cardazzo – stava organizzando in collaborazione con un italo-venezuelano, Gasparino Graziano, su un tema specifico: Le macchine. Molti pittori frequentatori del Giamaica avevano intenzione di partecipare, benché ci fosse una giuria di selezione e di premiazione. Le opere ammesse sarebbero state 40, una per ogni artista. Anch’io decisi di partecipare, nonostante fossi cosciente di essere poco più di un ragazzo. Ufficialmente mi attribuivo cinque anni in più. Fu una gioia immensa per me, quando mi ritrovai selezionato ed esposto vicino ai più illustri maestri del momento: c’erano tutti! Ricevetti anche un piccolo pre- mio che risolse alcuni miei problemi economici, dandomi la carica per continuare. L’anno successivo si ripeté lo stesso meraviglioso evento. Questa volta i giovani selezionati furono due: Ercole Pignatelli ed io, entrambi ricevemmo un premio con la motivazione di esserci rivelati in quell’anno. Le cose cominciarono a girare bene perché lo stesso Graziano acquistò la mia opera per il Museo di Caracas, da lui curato. Assistevo con molto interesse a varie aggregazioni di giovani artisti, animati da una gran voglia di fare e con pochi soldi. Si parlava di Spazialismo, Fontana aveva scritto due manifesti sull’argomento ed era da poco tornato dall’Argentina.
Si parlava anche di figurazione esistenziale, leggevamo Borges, Kierkegaard, Alain Robbe-Grillet, Sartre… Era l’aspetto che più sembrava rispondere al mio modo di sentire di allora. Condividevo le tematiche di Romagnoni, Vaglieri, Guerreschi vicini a questa corrente di pensiero; altri erano per soluzioni più informali e meno narrative come Chighine, Morlotti, Bionda, Guenzi.
Insomma era una vera fucina di idee. Anche giovani fotografi erano approdati al magico triangolo Giamaica – Genis – Titta. Tra loro c’erano Uliano Lucas, Ugo Mulas, Mario Dondero, Alfa Castaldi. Attraverso una personale ricerca avevano raggiunto una loro definita espressività.
Altro grande avvenimento che muoveva le acque in quel tempo, era il Premio S. Fedele, organizzato da un padre gesuita veramente illuminato, padre Favaro. In quel contesto noi giovani avevamo trovato un altro fertile terreno per incontrarci, sia con le opere che con le differenti tematiche. Arrivarono altri miei coetanei: Recalcati, Adami, Tadini, De Filippi, Aricò, Verga, Sordini, Vermi, Ferrari, per citarne alcuni. Gli ultimi tre fecero gruppo a sé e si cominciò a parlare anche di Minimalismo.
Alla sera andavamo alla ricerca delle osterie più caratteristiche dell’hinterland milanese e Piero Manzoni, pur non avendo affinità artistiche da condividere, era diventato un mio caro amico; finimmo molte volte ospiti da Pescetto ad Albisola. Una volta ci recammo in vacanza in Istria, a Rovigno. Era con noi la sua compagna Nanda Vigo, che consideravo l’artista più moderna e coraggiosa dell’epoca. Ricordo che una volta eravamo andati in gita in una piccola isola, si chiamava Zerveni Hotoc e Piero si perse in mare, mentre cercava di riparare il fuoribordo della barca che ci aveva portato fin lì. Alcuni pescatori lo rintracciarono solo a tarda notte.
Al bar Giamaica non mancavano giornalisti e critici, tra loro c’era Giorgio Kaisserlian (amico di Marieda Boschi e attivo consigliere di padre Favaro), molto vicino alla figurazione esistenziale, credo sia stato uno dei primi critici a definirla Neo figurazione proponendo opere di questo filone che al momento coincideva con la sua filosofia.
Nel frattempo avevo ricevuto un altro premio proprio alla Galleria S. Fedele e forse grazie a questo riconoscimento trovai terreno fertile per l’acquisto di una mia opera da parte dei coniugi Boschi di Stefano. Frequentai spesso la loro casa in Via Jenner, anche in compagnia di Kaisserlian, era straordinario vedere il loro interesse umano e artistico verso noi giovani pittori. Poi sono iniziate le differenziazioni, con vere etichettature.
Tutto cominciò a girare in gran fretta, prese vita anche una rivista, Azimut, purtroppo di soli due numeri, ideata e diretta da Piero Manzoni ed Enrico Castellani. Vorrei sottolineare che in quel momento tutte le sperimentazioni erano aperte e possibili. Certamente qualcuno di questi artisti riuscì a creare una maggiore coesione verso stilemi più codificati, anche con la sottoscrizione di intenti comuni, vero momento ‘centrale’ da cui partirono le varie strade delle differenziazioni. Nel cammino che ne seguì, ci furono momenti favorevoli ora per gli uni, ora per gli altri, secondo i rapporti di forza delle gallerie e dei critici già ‘accasati’, ma posso asserire che non ci fu un vero e proprio ‘sbocco nell’informale’, come lei scrive. Tutto continuò ad espandersi in modo straordinario, formando artisti anche di grande personalità e fama.
Purtroppo terminarono le accanite partite di ‘scopa all’asso’, in quell’isola straordinaria del Giamaica che aveva il magico potere di far sedere allo stesso tavolo i grandi come Salvatore Quasimodo e un giovane con tante cose ancora da maturare, quale ero io”.