Luciano Caramel

Il viaggio, 1985

Questa mostra di Claudio Papola potrebbe essere intitolata “ Il viaggio “. Si apre con delle grandi vele. Si dipana quindi attraverso una serie di dipinti che fissano momenti del navigare, tra cielo e mare, nell’instabilità – dolcemente ondeggiante o violentemente agitata – del galleggiare sulla fluida mutabilità dell’acqua. Per avvicinarsi, grado a grado, alla mèta: un’isola: non quindi la terraferma, non quindi qualcosa di definitivo: invece un approdo che sottintende altre partenze, e altri approdi. Anzi, forse, neppure un approdo, giacchè l’isola è vista ancora da lontano, nel suo rapporto col cielo, e/o col mare, protagonisti come la terra, dell’immagine.
Tre sono le possibili chiavi di lettura. Una, per così dire, ancorata alle denotazioni. Ed il viaggio sarà il viaggio, uno dei viaggi, che l’uomo Papola frequentissimamente compie, sulle distese del Mediterraneo, in intima simbiosi con i suoi elementi, fuori di finalità che travalichino il gusto della primordiale sensazione dell’essere natura nella natura. Con tutte le implicazioni, ovviamente, di liberazione dall’artificialità della vita urbana, di ritorno alla primarietà dell’essenziale, del necessario, nonché di riscoperta di un vissuto libero dai condizionamenti e dai vincoli che derivano dall’essere in un contesto sociale. Con la coscienza, peraltro, dell’inevitabilità, ed opportunità, oggi, del vivere in una struttura organizzata e dell’essere soggetto ai suoi stimoli. Papola non è un romantico sognatore. E l’isola non è un miraggio, un luogo solo della fantasia, simbolo della fuga dal proprio tempo e dal proprio spazio abituale per attingere una indeterminata ed incorporea condizione edenica. D’altronde – ecco la seconda chiave di lettura – il pittore non ci offre un diario di bordo, e neppure la mera registrazione delle emozioni provate in quella o quell’altra situazione. Il viaggio è sì radicato nella concretezza dell’esperienza, ma su di essa non si appiattisce. Anzi proprio dalla flagranza del reale deriva la dilatazione ad un registro più ampio: dalla denotazione alla connotazione, anzi alle connotazioni. Dal particolare si passa al generale ( se non all’universale), dall’uomo singolo agli uomini, dall’atto esistenziale ad una concezione dell’esistere, che nei margini dell’individuo non si esaurisce: La vela che ci accoglie all’inizio della rassegna sarà allora metafora del viaggio, e il viaggio rimanderà alla vita. L’acqua sarà il flusso dell’esistere, domabile o no, propizio o avverso. Mentre l’isola-mèta darà sostanza alla tensione della ricerca, al desiderio di un approdo; sarà polo determinante perché l’andare non si trasformi in un perdersi nell’indifferenziato, perché non sia morte.
Il parametro denotativo e quello connotativo , certo entrambi validi, si realizzano però in un medium caratterizzato: quello dei colori del- l’arte.
Siamo alla terza chiave di lettura, inadeguata senza quelle precedenti, ma fondamentale: perché Papola è pittore e presenta qui delle immagini, dove appunto quel che conta è la realtà dell’immagine, con la realtà della vita fittamente interferente, ma da essa “altra”.

Conscio della convenzionalità della rappresentazione, Papola ne utilizza ogni possibile statuto. Nelle vele saggia l’avvicinamento al referente, fino addirittura ad un’apparente identificazione, giacché fa ricorso a vele vere e proprie, trattenute da funi per nautica. Estrapolate dal naturale contesto e collocate in uno spazio finalizzato a messaggi artistici (come in queste sale, o nella suggestiva “installazione” alla Biennale di Venezia del 1982, nei Magazzini del Sale), vele e funi subiscono un’interna trasformazione di qualità, appunto tramutandosi in immagini. Sulla tela, inoltre, attraverso i pigmenti, l’artista fissa il riflesso delle acque, il loro ondeggiare e rilucere; e la vela diviene mare ( e implicitamente cielo ), concretando senza indugi illustrativi, e con sintesi efficacissima, il viaggiare su di esso.