Claudio Papola
L'arte marinara è la certezza di condurre a qualsiasi costo una barca ad un approdo sicuro, superando tutte le avversità che si incontrano lungo la rotta. Vivo questo evento come l'antitesi a fare pittura, (...)
fuori del riparo da eventi che, spesso in collisione tra loro, distruggono il momento nel quale l’opera, appena apparsa, tenta la propria sopravvivenza.
Dato che essa è subito pronta ad annientarsi, per cercare una nuova fisionomia che tenga conto del trascorrere del ‘tempo esistenza’, sia pure assumendosi il rischio di tornare a solcare acque tormentate da venti che cambiano inevitabilmente direzione e ben sapendo che l’immaginario ubbidisce al proprio istinto di rinnovamento.
Nel mare ho trovato ‘l’altro’: nel superare le tempeste, le calme di vento, le avarie, le notti a volte nebbiose e senza stelle, nell’ansia dell’avvicinamento ad una costa sconosciuta, mentre magari il vento non concede pause di riflessione per meglio identificare il ‘dove siamo’ e, sia pure al limite di tutto, l’approdo è necessario trovarlo. Altrimenti il naufragio.
Vivo il mare come condizione psicologica, dove qualsiasi sconvolgimento è possibile, ma dove il vento, l’acqua, il magnetismo, la gravità, il tempo, la reale percezione della sfericità della Terra ed ancora il Sole, le stelle, mi pongono in un rapporto di certezza, avendo appreso ad usarli per compiere l’evento certo della navigazione e quindi dell’approdo.
Per questo ho imparato a leggere il significato delle nuvole; a capire, osservando la loro conformazione, come si muovono le masse d’aria; ad interpretare da quale direzione e con quanta forza potrà soffiare il vento; ad usare il Sole, le stelle ed il tempo, per situarmi in un punto certo; a seguire con il magnetismo la giusta rotta e a correggerla da deviazioni e derive, a fare tutto quello che assicura la sopravvivenza e la certezza di arrivare nel luogo scelto, dove il riparo è certo; e volendo, si può ripartire.